Caro Presidente Marsilio,
un vecchio maestro nei miei anni verdi mi suggerì di prestare attenzione ai termini utilizzati da coloro che intendono attaccare qualcuno: in qualche modo le loro espressioni rivelano qualcosa di loro stessi.
Mi è tornato in mente questo consiglio, leggendo la lettera aperta che lei ha voluto indirizzarmi. “Senatore D’Alfonso, si vergogni” mi scrive subito dopo l’intestazione. È stata una cannonata, uno squarcio di luce. Mi ha chiarito una cosa di lei che non avevo mai bene inteso, un mistero che in qualche modo mi arrovellava.
Come farà il Presidente Marsilio a essere sempre così soavemente indifferente e quieto, malgrado la mole delle questioni di cui dovrebbe occuparsi e alle quali dovrebbe fare guerra ogni giorno. Non avverte il senso della responsabilità della carica che gli sta sulle spalle?
La mia domanda era tanto più viva poiché, come lei sa, mi è capitato di avere responsabilità di analoghe alle sue e so bene che pressione trasmetta ogni giorno la consapevolezza di dover rispondere di tutto quello che non va nell’ambito delle competenze affidate dalla legge e dal popolo.
Ma per questo avvertimento occorre una cultura della responsabilità, nella quale sia ben chiara l’idea della colpa individuale, anche di quella invisibile all’esterno.
Col suo incipit concitato, invece, lei mi ha fatto intendere che il suo campo di appartenenza è nella cultura della vergogna: come sa si tratta di un concetto tipico di un livello arcaico del consorzio civile, secondo il quale basta apparire eroici e virtuosi agli occhi altrui per sentirsi realmente tali, senza avvertire alcun rovello di responsabilità personali.
Una spia ulteriore di questa visione del mondo, me la fornisce nella sua lettera con l’uso disinvolto della menzogna, che nella cultura della vergogna non è considerata grave di per sé, semmai il suo smascheramento può provocare il biasimo collettivo verso chi l’ha pronunciata.
È una menzogna prospettare come un obbligo ai sensi di quanto previsto dagli articoli 241 e 242 del Decreto Rilancio, perché quegli articoli non parlano di necessità, ma di possibilità. E sono certo che non le sfugge la differenza tra le due fattispecie, considerato anche che lei è un senatore emerito e che quindi la produzione di norme è stato per anni il suo pane quotidiano.
Proprio la sua antica appartenenza al Parlamento dovrebbe rivelarle l’enormità della seconda menzogna che mi contesta: quella di non essermi adoperato per portare risorse dirette alle Regioni in Senato. Il Parlamento, come lei stesso ricorda, ha consentito al Governo l’uso delle risorse necessarie anche a questo fine, e ora la partita è tutta nella contrattazione tra Governo e Regioni.
Non vedo che ruolo avrei potuto svolgere in questo caso, a meno che lei Presidente non mi voglia conferire l’incarico a trattare per conto della Regione Abruzzo. Sino a che ne sono stato il Presidente l’ho fatto con qualche successo, se ha necessità che continui a occuparmene io al suo posto, lo farò molto volentieri. Bastano due righe scritte su un foglio che presenti l’idonea carta intestata. Sono certo che il necessario procedimento non le sfugge, ad ogni modo sono a disposizione.
Ma la menzogna più colossale riguarda il fatto che le risorse del Masterplan siano arrivate grazie a un automatismo, a un mero riparto intervenuto senza alcun lavoro da parte di chi governava la Regione. Come ho già avuto modo di spiegare abbondantemente l’Abruzzo come regione in transizione sarebbe finita tra le realtà che accedono al riparto del 20% dei fondi per la Coesione, mentre con il nostro lavoro e la nostra capacità di rappresentanza politica e istituzionale abbiamo ottenuto che fosse inserita tra le regioni che concorrono all’80%.
Oltre a essere falso, però, quanto mi contesta sembra rivelare nuovamente qualcosa di lei, della sua idea che sia del tutto inutile l’azione del vertice della Regione, poiché alla fine le cose succedono da sole, per un automatismo ben oliato che non richiede alcun affanno e che consente il diritto a serbare sempre capelli ben ordinati e vesti morbide.
Sulla cronologia relativa le menzogne che scrive non conoscono misure: solo nel 2016, dopo una intensa attività di interlocuzione istituzionale nazionale e europea e di puntuale confronto locale sui progetti di investimento, sono state definite e quindi concesse le risorse ed è partito il cantiere di lavoro amministrativo per la loro realizzazione.
Mi domando, piuttosto, cosa sia avvenuto nei 18 mesi del Governo Marsilio. Se fossero stati spesi senza tregua per portare avanti la realizzazione di quei progetti, la questione dello storno dei fondi loro destinati non si sarebbe neppure posta.
Ma per realizzare le opere c’è bisogno di affanno vigile e di lavoro senza sosta.
Consuetudini del tutto ignote a lei, caro Presidente Marsilio, nella sua fiducia piena che anche senza seminare si può sempre raccogliere, perché dopo tutto anche la vegetazione spontanea fa la sua parte e probabilmente è anche più sostenibile.
Così “temporaneamente” le è possibile fermare quanto gli altri hanno avviato, mostrando anche irritazione se qualcuno osa farglielo notare.
Da parte mia confermo la disponibilità al confronto sull’opportunità di tornare indietro rispetto a questo errore che avete compiuto e anche a fornire idee alternative più utili per il futuro dell’Abruzzo, che resta la sola cosa che mi interessi nel muoverle i rilievi che le muovo.
Non mi interessa, infatti, che lei si vergogni, ma che torni sui suoi passi per permettere alla nostra Regione di camminare su una strada più agevole e sicura.
Per questo motivo non le chiedo di credere alle mie parole: confrontiamoci sulla esatta interpretazione degli articoli 241 e 242 del Decreto Rilancio davanti a un giurì d’onore a rilevanza tecnica formato da personalità nazionali e regionali. Vedremo chi meriterà gli appellativi che il Presidente Marsilio ha voluto indirizzare prima ai consiglieri regionali e da ultimo a me.
Cordiali saluti
Luciano D’Alfonso