Vico, il grande Gian Battista Vico, usava distinguere tra le «verità geometriche» e il «verisimile», con le evidenti differenze che vi intercorrono.
Ora io non è che ogni volta voglia fare citazionismo, come mero sfoggio di erudizione. Certo, anche questo non guasta perché rappresenta la cartina di tornasole dei miei lunghi studi universitari e delle mie letture (a meno che, in questi tempi, lo studio e la competenza non siano più da considerare dei valori); ma ciò che più mi preme, nel citare, è dare «scientificità» a ciò che vado affermando.
E la «scientificità» che io sono andato sempre sostenendo, oggi è stata corroborata anche dal Tribunale di Pescara, sulla vicenda, così denominata, giornalisticamente, “Pescaraporto”. Assoluzione con la formula più ampia, per me, ma anche per gli altri coimputati, poiché «il fatto non sussiste».
È questa la «verità geometrica» di Vico, che oggi è emersa in tutta la sua evidenza, con la forza e la potenza che si confà a ciò che è destinato ad essere: appunto, la verità, che lascia sempre nel nulla menzogna. Un triangolo, qualsiasi triangolo – è questo il destino di ogni retto pensare – avrà sempre due angoli retti, a dispetto delle fattizie, dei fattoidi e di ciò che è semplicemente abita nel non vero. Come, ad esempio, la scaturigine del caso giudiziario che mi ha riguardato, rappresentata da due denunce, partita una dal Comune di Pescara e un’altra dalla Regione.
Ai denigratori e agli avversari politici che nei giorni scorsi hanno festeggiato un non fatto penale, così come il Cappellaio matto di “Alice nel paese delle meraviglie” festeggiava i non compleanni, ora lascio volentieri il calice di champagne in mano loro. Io, invece, continuerò a farmi accompagnare dalla sobrietà della verità.