La ZES abruzzese è nata con il DPCM n. 12 del 25 gennaio 2018. Fu la giunta regionale che presiedevo a vedersi riconosciuti ben 1.702 ettari rispetto ai 986 previsti inizialmente, grazie al lavoro sinergico in sede di Conferenza unificata.

Poi, nel 2024, il governo Meloni ha unificato tutte le ZES del Mezzogiorno, vanificando la maggior parte dei vantaggi che questo strumento poteva recare all’economia del nostro territorio. In pratica si è creata una guerra tra le regioni del Sud e, essendo l’Abruzzo l’unica regione meridionale al di fuori dell’Obiettivo 1, è evidente che sarà danneggiata da questa nuova impostazione.


Non solo: con l’accentramento dei poteri nelle mani della Struttura di missione della presidenza del
Consiglio, si è persa la possibilità di dialogare a livello locale e gli imprenditori hanno come unico interlocutore una piattaforma telematica centralizzata che presenta problemi e non facilita l’accesso ai finanziamenti.

Sul punto il centrodestra regionale resta in silenzio: i garruli melonidi straparlano su tutto ma quando si tratta di ZES unica perdono la voce, ben sapendo che la nuova deriva governativa sta causando notevoli problemi al tessuto economico abruzzese.

Come già accaduto su altre tematiche, Marsilio & co. sono usi a obbedir tacendo davanti ai diktat di partito. La ZES funziona se con appropriatezza e adesività amministrativa corrisponde alle caratteristiche dei luoghi in cui si genera l’intrapresa. L’ambito territoriale ottimale della ZES è lo spazio omogeneo regionale.

Lo spossessamento delle Regioni del Mezzogiorno politicamente non allineate non giustifica il safari contro procedure attivate, mature e pronte per essere generative di nuova economia. Ciò che si ingrandisce non necessariamente fa crescere, poiché perde di vista lo specifico dei luoghi.

Si diano una svegliata.

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