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Informative copia-incolla: è il far west delle indagini
Zero regole, molte suggestioni e fughe di notizie: nelle carte che passano dalla polizia giudiziaria alle procure (e poi ai giornali) la presunzione d’innocenza è ancora un miraggio…
Giovanni Maria Jacobazzi
15 gennaio, 2024 • 08:09
Nell’ormai annoso (e quanto mai ripetitivo) dibattito sulle intercettazioni telefoniche e sulla loro divulgabilità o meno nella fase delle indagini preliminari, si dimentica spesso di ricordare l’importanza che da tempo hanno assunto le informative di reato redatte dalla polizia giudiziaria.
Il codice di procedura all’articolo 347 prevede che la polizia giudiziaria debba riferire al pm “per iscritto, gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute delle quali trasmette la relativa documentazione”. L’articolo prosegue sottolineando che vanno comunicate, se conosciute, le generalità di coloro nei confronti vengono svolte le indagini, prevedendo anche delle tempistiche entro cui trasmettere gli atti per i quali è necessaria la partecipazione del difensore. Il successivo articolo 357 prevede invece che la polizia giudiziaria annoti “secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini, anche sommariamente, tutte le attività svolte, comprese quelle dirette alla individuazione delle fonti di prova”.
La stesura delle informative, come ricordato, negli anni è diventata un’attività centrale da parte della pg. Queste informative, infatti, saranno successivamente utilizzate nella loro interezza dal pm per motivare i suoi provvedimenti ed il giudice delle indagini preliminari, a sua volta, utilizzerà integralmente il provvedimento del collega requirente per motivare il proprio.
Per semplificare, si potrebbe affermare che è un “doppio copia incolla”, peraltro avallato dalla Cassazione. Piazza Cavour, con numerose sentenze, ha puntualizzato che la motivazione di un provvedimento “per relationem” è perfettamente legittima e non viola la legge. Agisce quindi correttamente il pm che fa propria la richiesta della pg e il gip che poi fa propria quella del pm. In tale contesto è evidente che le informative di reato siano centrali nell’attività investigativa e che quanto riportato al loro interno sia destinato un domani ad essere discusso fino in Cassazione.
Fatta tale premessa, bisogna comprendere ora come vengono redatte le informative di reato. Spesso l’estensore si lascia andare a valutazioni che nulla hanno a che vedere con le imputazioni per le quali si procede. Rimase celebre, per ricordare un recente fatto di cronaca giudiziaria che ha particolarmente scosso l’opinione pubblica, una frase del Gico della Guardia di finanza per descrivere i rapporti, e quindi motivare la proroga delle intercettazioni telefoniche, fra l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara e l’allora parlamentare di Italia viva Cosimo Ferri. Le Fiamme gialle scrissero che i rapporti fra i due magistrati erano connotati da una non meglio precisata “opacità”. In sede di dibattimento gli avvocati di Palamara domandarono ai finanzieri chiamati a testimoniare che cosa fosse tale “opacità” ottenendo però risposte quanto mai evanescenti.
Recentemente l’ex presidente della Regione Abruzzo e ora deputato del Partito democratico Luciano D’Alfonso, presentando un emendamento, non accolto, alla legge di delegazione europea sulla presunzione d’innocenza e avente ad oggetto “l’obbligo di formazione continua delle forze di Polizia, della Guardia di finanza dell’Arma dei carabinieri e della Polizia penitenziaria nonché norme per la continenza linguistica”, è tornato sull’argomento.
La riforma proposta da D’Alfonso avrebbe previsto l’attivazione presso gli istituti di formazione delle varie Forze di polizia di specifici corsi, con frequenza obbligatoria, destinati al personale che esercita funzioni di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, da inserire in percorsi formativi permanenti, “volti a far acquisire, anche mediante il confronto interdisciplinare e la partecipazione di esperti esterni, competenze mirate al rafforzamento della presunzione di non colpevolezza, alla luce della direttive europee”.
Al fine di assicurare l’omogeneità dei corsi, i relativi contenuti dovevano essere definiti con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i ministri per la Pubblica amministrazione, dell’Interno, della Giustizia e della Difesa. Obiettivo ultimo, l’utilizzo di un fraseggio che fosse rispettoso della presunzione di innocenza e non colpevolista.
Ad oggi non esistono delle regole di scrittura che valgono per tutti ed ogni singola forza di polizia agisce per conto proprio. La formazione è quanto mai “artigianale”: non esistendo un modello, tutto è lasciato alla discrezionalità del singolo.
Torna alla mente un altro episodio di cronaca giudiziaria, la maxi inchiesta dei carabinieri del Noe per gli appalti Consip. I carabinieri avevano incardinato l’inchiesta alla Procura di Napoli con il pm Henry John Woodcock. Per competenza gli atti erano stati successivamente trasmessi alla Procura di Roma. Mario Palazzi, il nuovo pm titolare, lette le carte, la prima cosa che fece fu ordinare ai carabinieri del Noe di riscrivere da capo l’informativa non ritenendo fosse sufficientemente chiara. Ciò che andava bene a Napoli non andava evidentemente bene a Roma.
In tale contesto, dove regna la discrezionalità, l’attenzione al contenuto delle informative non può non essere massima per evitare che al loro interno confluiscano elementi estranei alle indagini. Essendo – purtroppo – le fughe di notizie all’ordine del giorno bisogna considerare l’ipotesi che il contenuto delle informative possa finire interamente sui giornali prima ancora che le indagini siano concluse.
Le pene per chi pubblica atti coperti dal segreto sono quanto mai blande e, comunque, non si può accusare il giornalista, che fa il suo mestiere, di aver pubblicato una notizia: a logica dovrebbe essere perseguito chi l’ha passata, il maresciallo o il pm, che per legge è tenuto al segreto. Anni fa ci fu grande polemica riguardo una norma che consentiva ai vertici delle Forze di polizia di venire a conoscenza “per conoscenza” del contenuto dell’informativa e quindi, in qualche modo, di essere nelle condizioni di influenzare l’operato dei propri investigatori. Dopo una levata di scudi da parte delle toghe, che investì anche il Csm, tutto rientrò. Ma è difficile tenere all’oscuro in una organizzazione di tipo gerarchico-funzionale, come è quella delle Forze di polizia, i superiori diretti sul contenuto di una attività d’indagine in corso.
Sempre per rimanere nell’ambito dell’indagine Consip, si era arrivati a ipotizzare che gli allora vertici dell’Arma, il comandante generale ed il capo di stato maggiore, avessero potuto avvertire gli indagati che erano intercettati.
Per tutta risposta, i carabinieri del Noe avevano pensato di mettere delle “ambientali” all’interno degli uffici dei propri superiori per accertare se fossero stati loro gli autori della rivelazione del segreto investigativo che aveva compresso l’inchiesta. Non esistendo formazione comune ed essendo tutto lasciato alla valutazione del singolo operatore, il rischio Far West è dunque dietro l’angolo. “Nell’ambito delle annotazioni e dei verbali di polizia giudiziaria – ricordò D’Alfonso – vanno evitati aggettivi che non siano strettamente necessari alla descrizione dell’attività compiuta o di espressioni comunque lesive della presunzione di innocenza”.
“Si tratta di correttivi volti a rafforzare, anche al livello dell’attività di polizia giudiziaria, la tutela del diritto alla presunzione di innocenza dell’indagato attraverso la previsione di obblighi formativi continui”, aggiunse il parlamentare dem, auspicando “la promozione di una maggiore prudenza descrittiva, nell’ottica di arginare l’uso e l’abuso di aggettivi ed espressioni ’stigmatizzanti’, per imporre al contempo l’impiego di un linguaggio cauto, dal tenore possibilista, improntato all’uso del modo verbale condizionale”. Chissà se ci si riuscirà mai.