Bocciato l’emendamento alla legge di delegazione europea sulla presunzione d’innocenza del deputato del Pd Luciano D’Alfonso che istituiva l’obbligo di formazione garantista
di Giovanni M. Jacobazzi per IL DUBBIO
Chi insegna al personale di polizia, carabinieri e guardia di finanza come si scrive una informativa di reato? E soprattutto quali parole e quali aggettivi devono essere utilizzati per scrivere una informativa di reato? Se lo è chiesto l’ex presidente della Regione Abruzzo e ora deputato del Pd Luciano D’Alfonso presentando un emendamento, poi però non accolto, alla legge di delegazione europea sulla presunzione d’innocenza e avente ad oggetto «l’obbligo di formazione continua delle forze di Polizia, della Guardia di finanza dell’Arma dei carabinieri e della Polizia penitenziaria nonché norme per la continenza linguistica».
Il tema sollevato da D’Alfonso non è nuovo. Rimase celebre qualche anno fa la richiesta ai carabinieri del Noe da parte del pm Mario Palazzi di riscrivere l’informativa dell’inchiesta Consip, redatta secondo il magistrato romano in uno stile un po’ «gotico».
A ciò si deve poi aggiungere il fatto che la giurisprudenza della Cassazione ha da tempo avallato la pratica comunemente definita del “doppio copia incolla”, quando, in altri termini, la richiesta di un provvedimento cautelare da parte della polizia giudiziaria diventa essa stessa il provvedimento cautelare.
Piazza Cavour, con numerose sentenze, ha infatti stabilito che la motivazione di un provvedimento per relationem è perfettamente legittima e non viola la legge: agisce correttamente pertanto il pm che fa propria la richiesta della pg ed il gip che a sua volta fa propria quella del pm.
È sufficiente in questa filiera, un tempo sarebbe stata definita alla carta carbone, che il magistrato dimostri in qualche modo di aver compreso l’esatto suo contenuto. In tale scenario è di tutta evidenza, dunque, che quanto scrivono le Forze di polizia, venendo “ricopiato” integralmente dal pm prima e dal gip dopo, è destinato ad arrivare direttamente in Cassazione in caso di ricorsi in materia di libertà personale nella fase delle indagini preliminari.
La riforma proposta da D’Alfonso avrebbe previsto l’attivazione presso gli istituti di formazione delle varie Forze di polizia di specifici corsi, con frequenza obbligatoria, destinati al personale che esercita funzioni di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, da inserire in percorsi formativi permanenti, «volti a far acquisire, anche mediante il confronto interdisciplinare e la partecipazione di esperti esterni, competenze mirate al rafforzamento della presunzione di non colpevolezza, alla luce della direttive europee». Al fine di assicurare l’omogeneità dei corsi, i relativi contenuti dovevano essere definiti con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i ministri per la Pubblica amministrazione, dell’Interno, della Giustizia e della Difesa. Ad oggi, invece, ogni Forza di polizia agisce in autonomia, chiamando come docenti nei corsi formativi i pm che sono i primi utilizzatori delle informative della pg.
«Nell’ambito delle annotazioni e dei verbali di polizia giudiziaria – sottolinea D’Alfonso – vanno evitati aggettivi che non siano strettamente necessari alla descrizione dell’attività compiuta o di espressioni comunque lesive della presunzione di innocenza». «Si tratta di correttivi volti a rafforzare, anche al livello dell’attività di polizia giudiziaria, la tutela del diritto alla presunzione di innocenza dell’indagato attraverso la previsione di obblighi formativi continui», prosegue il parlamentare dem, auspicando «la promozione di una maggiore prudenza descrittiva, nell’ottica di arginare l’uso e l’abuso di aggettivi ed espressioni “stigmatizzanti”, per imporre al contempo l’impiego di un linguaggio cauto, dal tenore possibilista, improntato all’uso del modo verbale condizionale». L’emendamento prevedeva infine una modifica all’articolo 357 del codice di procedura penale, con l’inserimento del comma 5- bis: «Le annotazioni e i verbali sono redatti dalla polizia giudiziaria in modo da evitare, in riferimento alla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, l’impiego di aggettivi che non siano strettamente necessari per la descrizione dell’attività compiuta e di espressioni comunque lesive della presunzione di innocenza». In caso di sua inosservanza D’Alfonso aveva ipotizzato la possibilità di sanzioni disciplinari, come la sospensione dell’impiego fino ad un massimo di sei mesi, per l’estensore dell’informativa “giustizialista”.