L’intervista, per il Messaggero, a Luciano D’Alfonso di Saverio Occhiuto
Un Partito democratico che solo fra un paio di settimane conoscerà il nome del suo nuovo segretario nazionale, dopo essere rimasto alle corde per 5 mesi sotto i colpi degli avversari. Un’alleanza da ricostruire all’indomani della batosta subita in Lombardia e nel Lazio, in un tempo non lontanissimo dalle elezioni regionali con cui anche l’Abruzzo dovrà misurarsi fra meno di un anno. Il deputato Luciano D’Alfonso, uno che di sconfitte e rinascite (anche personali) potrebbe lastricare gli scaffali di una biblioteca, prova a indicare un percorso.
Da dove ripartire? «Con le elezioni del Lazio e della Lombardia chiudiamo la terza fase del “Pd sbagliato”. E’ bene che i democratici si concentrino su un’offerta politica non solipsista, bloccata su posizioni proprie, ma che metta in discussione le emergenze degli italiani e non le mode».
Partendo da quali priorità?
«Dobbiamo tornare a comporre la nostra offerta politica coniugandola con i problemi dei due terzi degli italiani, quelli che oggi vivono la dimensione della paura vera e propria. Sofferenza quotidiana e speranza devono tornare a essere la nostra bussola».
La questione che lei solleva è dibattuta da tempo all’interno del Pd, un tema centrale anche delle primarie in corso per la scelta del nuovo segretario. Intanto è arrivata un’altra sconfitta.
«Il partito deve ricominciare a fare l’infrastruttura della società, scegliendo candidati capaci di ascolto totale e quotidiano nel rapporto con la cittadinanza. Il punto è questo: mettere in cam- po azioni esigenti e radicali che restituiscano credibilità e consenso».
Quel consenso che si è volatilizzato anche nel voto di domenica e lunedì, andando a gonfiare i numeri dell’astensionismo? «La battaglia per una legge elettorale nuova, che recuperi il rapporto quotidiano con il cittadino, è un’altra cosa da fare».
Con quali altri temi bisognerà misurarsi per allontanare lo spauracchio del seggio a ogni tornata elettorale?
«Il partito che si rinnova deve interrogarsi su almeno quattro grandi questioni: come si produce ricchezza sostenibile. Come si ripara la democrazia, alla luce della grandezza dall’astensione. Come si ripara il Creato, consa- pevoli che ci vuole più giustizia nei rapporti con la natura: l’Europa deve essere di più!».
Poi ci sono le altre grandi tra- gedie in corso, come la guerra nel cuore dell’Europa.
«Un altro tema è proprio questo: come recuperare lo stupore e la cittadinanza reattiva davanti alle tragedie dell’umanità. La guerra è stata rubricata come un segmento di Netflix. Nessuno più si meraviglia di ciò che accade a qualche migliaio di chilometri da noi. La cultura della morte sembra prendere il sopravvento. E il Partito democratico deve tornare a essere un’agenzia sociale diffusa»